Decartages di Serena Ciai – Giorgio Bonomi

Nell’arte contemporanea c’è sempre stato il desiderio di lasciare la pittura al caso.

Dal Dadaismo alla pittura automatica, da Fluxus alla pittura degli animali (si sono visti in una Biennale di Venezia i quadri dipinti da un elefante che reggeva il pennello con la proboscide) si è cercato di creare l’opera senza l’intervento attivo e consapevole della mano dell’artista.

Serena Ciai in un certo senso si richiama a questo filone che potremo chiamare “pittura casuale” o “pittura spontanea”.

Infatti prende delle carte, pregiate e coloratissime, le bagna e le sovrappone tra loro; poi queste vengono incollate su qualsiasi oggetto, dal mobile alla sedia, dalle cornici agli specchi e a quant’altro. Le carte “sciolgono” i loro colori e così se ne creano degli altri in modo, appunto, casuale ma… sempre sotto l’occhio vigile dell’artefice che, oltre alla tecnica, per così dire, del caso si serve di un’altra tecnica, anche questa assai usata da tutta l’arte d’avanguardia del secolo scorso, cioè il fare pittura con materiali extrapittorici, ossia “dipingendo” senza pennelli e colori in tubetti. Infine abbiamo il “terzo movimento”: rendere artistico un oggetto comune. Già Balla, il noto futurista, si cimentò nel dipingere non solo cravatte e gilet, ma anche paraventi e sgabelli, mobili e tavoli.

Serena Ciai, allora, prende mobili nuovi e/o di recupero e su di essi interviene con la sua tecnica che sottende una poetica precisa. Quella, dal punto di vista formale, del cromatismo per cui realizza un colore forte, solare, con campiture accostate in modo virile oppure, più riservatamente, il colore appare solitario, quasi monocromo, se consideriamo che “il bianco non è un colore”. Dal punto di vista dei contenuti, al di là della volontà di decorazione, c’è il desiderio di dare o ridare vita a qualcosa di smorto, di banale che, appunto, con l’intervento artistico riemerge nella realtà e la occupa con orgogliosa spavalderia e con consapevole dignità.

Abbiamo detto della poetica della “decorazione”: va chiarito, quindi, che il concetto di questa non è limitativo, come spesso si pensa, dato il pensiero di tipo razionalistico del Novecento che, in arte e in architettura, ha combattuto l’ornamento – famoso è lo scritto di Adolf Loos, Ornamento e delitto –, infatti, accanto a questa visione estetica, ce n’è stata un’altra che deriva per via diretta da Matisse, i cui quadri mostravano sempre disegni e colori ornamentali (carta da parati, colori vivaci, orientalismi, arabeschi ed altro ancora), qui la decorazione non è sorretta da retorica bolsa né da ridondanza inutile.

C’è, così, tutto un filone, cui si riallaccia il lavoro di Serena Ciai, che fa dell’ornamento, del colore forte, dell’abbondanza di luce e di cromie, l’essenza di un’opera, e di un pensiero, che esprime gioia ed ottimismo, calma e attivismo, gioco e spensieratezza, sempre però con la consapevolezza che quello che il caso dà e produce deve essere contemporaneamente coscienzializzato, perciò resta sempre vero il concetto hegeliano secondo il quale “tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”.

I lavori di Serena Ciai sono reali e razionali anche se ludici e se il caso ci ha messo del suo.